La cavallina del negromantedi Guido Gozzano |
C'era una volta un pover'uomo rimasto vedovo, con un figlio chiamato Candido; egli possedeva per tutta fortuna un campicello e tre buoi. Candido, che era un bimbo sveglio e intelligente, giunti agli otto anni disse al padre:
- Vorrei andare a scuola...
- Non ho danaro sufficiente, figlio mio!
- Vendete uno dei buoi.
Il padre restò pensoso, poi si decise. Alla fiera seguente vendette uno dei buoi e col danaro ricavato mandò Candido alla scuola.
Candido imparava rapidamente e i maestri erano sbigottiti della sua intelligenza.
Quando seppe leggere e scrivere, decise di mettersi pel mondo alla ventura. Si vestì d'un abito nero da un lato, bianco dall'altro e si mise in cammino. Per via incontrò un signore a cavallo:
- Dove vai, ragazzo mio?
- A cercar lavoro.
- Sai leggere?
- Leggere e scrivere.
- Allora non fai per me e il signore proseguì la via. Candido restò sbigottito, poi si tolse l'abito, lo vestì a rovescio, corse attraverso i campi fino a trovarsi una seconda volta sulla strada dello sconosciuto; questi non lo riconobbe:
- Dove vai, ragazzo mio?
- A cercar lavoro.
- Sai leggere?
- Né leggere né scrivere.
- Sta bene. Sali in groppa, dietro di me.
Candido salì sul cavallo dello sconosciuto e dopo molti giorni di cammino giunsero ad un castello circondato da mura altissime. Nessuno venne a riceverli; discesero nel cortile deserto e il signore condusse egli stesso il suo cavallo alla scuderia; poi disse a Candido:
- Non vedrai qui dentro persona viva; ma non t'inquietare; avrai ogni cosa che ti talenta e un lauto stipendio.
- Quali sono le mie incombenze, signoria?
- Dovrai aver cura dei cavalli che ho nelle mie scuderie, non altro. Oggi devo partire per un viaggio lunghissimo, e non ritornerò che fra un anno e un giorno: il mio castello è nelle tue mani. Addio!
Il barone partì.
Candido, rimasto solo, curava diligentemente i cavalli. Quattro volte al giorno trovava la mensa imbandita nella vasta sala da pranzo, senza mai vedere anima viva né udir voce umana; mangiava, beveva, passeggiava per le sale e pel parco. Un giorno vide tra gli alberi trasparire una veste azzurra: era una fanciulla bellissima che fuggiva verso le scuderie.
Candido la raggiunse e la principessa si rivolse a lui con volto supplichevole.
- Sono uno dei cavalli che voi avete in custodia: un pomellato bianco, il terzo a destra di chi entra. Sono figlia del Re di Corelandia e il barone negromante m'ha cangiata in cavallo perché non lo volli per marito... Se il barone, al suo ritorno, sarà contento dei vostri servigi, per ricompensarvi vi dirà di scegliere uno dei cavalli; e voi scegliete me, non avrete a pentirvene.
Candido promise e si diede a leggere i libri del barone e apprese i segreti della negromanzia. Dopo un anno il barone era di ritorno al castello.
- Sono soddisfatto dei tuoi servigi, e poiché l'anno è passato, eccoti una borsa di monete d'oro. Vieni nelle scuderie, dove potrai sceglierti un cavallo pel tuo ritorno al paese.
Scesero nelle scuderie e Candido, dopo aver finto qualche esitazione, indicò il pomellato bianco.
- Scelgo quello.
- Come? Quella rozza? Non sei veramente buon intenditore; guarda i magnifici cavalli che le son vicini!
- Mi piace quella e non ne voglio altri.
- Sia pure disse il barone; e pensò: «Servo scaltro! Deve conoscere il mio segreto; ma lo saprò raggiungere a mezza via!».
Candido prese la cavallina pomellata e partì. Appena fuori del castello, essa riapparve nelle forme della principessa.
- Grazie, amico mio. Ritorna presso tuo padre, ed io ritorno alla Corte di Corelandia, dove tu dovrai trovarti fra un anno e un giorno.
E disparve.
Candido si diresse al paese natìo. Giunse dopo molti giorni alla capanna e si gettò nelle braccia del padre, che stentava a riconoscerlo.
- Siamo ricchi, padre mio, e bisogna goderci il nostro danaro!
E gli presentò la borsa e incominciarono pei due giorni di felicità ed agiatezza. Ma, poiché tutto ha una fine, anche il gruzzolo giunse all'ultimo scudo.
- Figlio mio, siamo ritornati alla miseria di prima!
Non inquietatevi! Domattina andremo alla fiera per vendere un magnifico cavallo.
- Un cavallo? Dove lo posso prendere?
- Poco importa: domattina l'avrete e ne riceverete trecento scudi; ma badate di non cedere la briglia al compratore.
- La briglia si cede con la bestia - osservò il vecchio .
- Non lasciate la briglia, vi ripeto, o mi esporrete ad un pericolo irreparabile.
- Sta bene, la riporterò a casa, benché non sia costume.
All'indomani il vecchio udì nitrire alla porta e vi trovò un magnifico cavallo; ma cercò invano suo figlio perché l'accompagnasse:
«Mi avrà forse già preceduto al mercato». E si mise in cammino. Giunto in paese non trovò suo figlio e fu circondato subito dai compratori.
- Bello il vostro cavallo. Quanto volete?
- Trecento scudi e la briglia per me.
- Facciamo duecentocinquanta.
- Non cedo d'un soldo!
S'avanzò un mercante sconosciuto dai capelli rossi e dagli occhi di brace (era il barone travestito) che fece l'offerta:
- È caro. Ma la bestia mi piace e non mercanteggio. Datemi la briglia ch'io lo possa condurre.
- La briglia non la cedo a nessun patto.
- Allora non ne facciamo nulla.
E lo sconosciuto s'allontanò minaccioso.
Il cavallo fu venduto a un carrettiere che non pretese la briglia; condusse la bestia per la criniera e la chiuse con altri cavalli nella sua scuderia. Ma all'alba il cavallo non c'era più. Era Candido che, grazie ai segreti appresi nei libri magici, s'era trasformato in cavallo, poi in uomo ancora, per ritornarsene dal padre. Padre e figlio godettero i trecento scudi e vissero lieti per molti giorni.
Giunti all'ultima moneta, Candido disse:
- Non c'è più danaro. L'altra volta mi trasformai in cavallo nero, domattina mi trasformerò in cavallo bianco e mi porterete al mercato; ma badate bene di non cedere la briglia, o tutto è finito per me.
All'alba il vecchio sentì nitrire nel cortile, e vide un cavallo bellissimo, candido come la neve. Lo prese per la briglia e si diresse al mercato.
I compratori circondarono la bestia; s'avanzò il mercante sconosciuto, dai capelli rossi e dagli occhi fiammeggianti.
- Bella bestia, la vostra; quanto volete?
- Cinquecento scudi.
- Sono troppi. Ma ve li do. Lasciatemela prima provare.
E lo sconosciuto salì in sella, cacciò gli speroni nei fianchi della bestia che fuggì di galoppo, lasciando il povero vecchio senza cavallo e senza briglia.
Giunto dinanzi a un maniscalco lo sconosciuto scese di groppa, entrò nella fucina:
- Maniscalco, il mio cavallo non è ferrato. Fategli all'istante quattro ferri di quattrocento libbre ciascuno.
- Quattrocento libbre? Voi scherzate, signore!
- Non scherzo, eseguite senza commenti e sarete ben pagato.
Mentre il barone e l'uomo parlavano, il cavallo era stato legato ad un anello del muro. Alcuni bimbi gli furono intorno e presero a tormentarlo.
- Staccatemi, bambini belli!
- Un cavallo che parla! e i piccoli esultarono di gioia.
- Che dice dunque?
- Dice di staccarlo.
- Sì, staccatemi, bambini, e vi divertirò con un bel giuoco.
Il più alto e il più audace staccò il cavallo, che si convertì subito in lepre e disparve nei campi. Il barone uscì dalla fucina col maniscalco.
- Dov'è il mio cavallo?
- S'è mutato in lepre ed è fuggito attraverso i campi.
Il barone negromante si mutò in cane e si precipitò sulle sue tracce.
Candido, incalzato da presso, si mutò in airone e il negromante lo seguì nell'aria sotto forma d'uno sparviero, e giunsero così nella capitale della Corelandia; lo sparviero stava per ghermire l'airone quando questo si mutò in un anello e infilò il dito della principessa che sospirava alla finestra del castello.
Il negromante riprese la sua forma umana e si presentò a palazzo per offrire le sue cure al Re, che era sofferente d'un morbo insanabile.
- Prometto di guarirvi, Sire; ma ad un patto.
- Domandate e qualsiasi pretesa vostra sarà appagata.
- Voglio l'anello d'oro che porta in dito vostra figlia.
- Questo soltanto, volete? Io son disposto a ben altro!
- Non domando altro, Maestà.
Intanto la principessa aveva chiuse le finestre e stava togliendosi gli anelli; quando si tolse quello d'oro le apparve Candido sorridente.
- Oh Candido! Come siete qui?
Candido narrò i casi suoi:
- Il negromante è nel castello ed ha promesso a vostro padre di guarirlo a patto gli sia dato il vostro anello; voi acconsentite, ma nell'atto di passarlo al dito del negromante, lasciatelo cadere in terra e tutto sarà per il meglio.
La principessa promise.
All'indomani il vecchio Re fece chiamare la figlia nella sala del trono e le presentò il negromante travestito da medico.
- Figlia mia, questo medico famoso non domanda, per rendermi la salute, che il tuo anello d'oro.
- Acconsento - disse la principessa, e fece atto di passare l'anello al dito del negromante, ma lo lasciò cadere ad arte sul pavimento.
L'anello si cangiò in fava e il negromante in gallo, per inghiottirla, ma la fava si cangiò in volpe e divorò il gallo.
Candido riprese la sua forma di prima, dinanzi a tutta la Corte sbigottita del prodigio.
La principessa presentò al padre il suo liberatore e quel giorno stesso furono celebrate le nozze.
Indice
Fiaba precedente (La camicia della trisavola)
Fiaba successiva (Nevina e Fiordaprile)